Arte: Fabio Sargentini e le sue opere accidentate in mostra a Roma

Arte: Fabio Sargentini e le sue opere accidentate in mostra a Roma
“Può il caso aggiungere senso o addirittura poesia ad un’opera d’arte in sé compiuta concettualmente e formalmente?”. Se vi dovesse capitare di camminare lungo Via del Paradiso, appena dietro Campo de’ Fiori, a Roma, e fermarvi al civico 41, salite le scale che portano alla “Galleria L’Attico” e rispondete voi stessi. Con queste parole il gallerista d’avanguardia e proprietario de L’Attico, Fabio Sargentini, introduce alla sua nuova mostra ‘Arte accidentata’, inaugurata lo scorso 15 marzo e in programma fino al prossimo 19 luglio. Le tele sono sette, solitarie figlie di grandi esponenti dell’arte contemporanea romana e il tema dell’esposizione  verte su l’accidentalità e la sua influenza sull’arte. Quando solo due settimane prima il caso volle che la tela dipinta del controsoffitto di una delle sale della galleria non resistesse alle intemperie del tempo, Sargentini si adoperò all’istante per porre rimedio a quello che di lì a poco si sarebbe rivelato un casus irreducibilis per la contingenza in atto. A distanza di poche settimane si susseguirono due eventi che sottoposero il gallerista ad una riconsiderazione della sua scelta forse un po’ abborracciata. Accadde che il vetro del quadro incorniciato di Luigi Ontani, il Testimone del 1975, si frantumasse cadendo al suolo; il nudo innocente, soggetto dell’opera, subì danni lievi. Un destino simile spettò a Torsione di Giancarlo Limoni del 1984, assalito da un topo di campagna e riportante ora i segni ben evidenti degli incisivi del roditore. Il tempo necessario di assimilare l’ulteriore riprova che nulla avviene per caso che già Sargentini correva ad interrompere il restauro del controsoffitto e intraprendeva ora la ricerca di altre opere accidentate. Sventurate compagne delle prime due furono Albero verde del 2017 di Claudio Palmieri, dilaniato nel cuore della tela, Piazza di Spagna del 1967 di Luca Patella, coperta tutto d’un tratto da misteriose chiazze opache, Senza Titolo del 1990 di Paolo Fabiani, attraversata per orizzontale da una craquelure lunga e sottile, Assolo del 2010 di Stefano Di Stasio ed infine ultima ma non meno lesa Made in China di Miki Carone, coetanea della precedente. Sette tele sono dominate dalla Legge del Caso, dunque si è ben lontani dall’Action Painting di Pollock o dalla Poetica della Casualità del Dadaismo, in cui l’irrazionale è volutamente cercato.
Tra le pareti della galleria il disordine dell’imprevisto incontra il rigore dell’arte, dando origine ad un senso di armonia che si stenta a credere. Non ci si lasci ingannare dalla esiguità delle opere, giacché ognuna di esse non solo possiede una sua storia, ma anche il fascino dell’accidentalità che l’ha sfiorata. Così come queste tele, anche lo spettatore vive in uno stato di perenne incoscienza, lasciando che i casi fortuiti, seppur non sempre bene accetti, governino di tanto in tanto la quotidianità. Ad oggi il corpo nudo de il Testimone, dai tratti quasi michelangioleschi, sosta al di sotto dello squarcio divenuto adesso equanime; lo sguardo incrocia i lembi pendenti di pittura, quasi avesse ravvisato un suo simile malcapitato, l’ordine è stato ristabilito. Il caso gioca un importante ruolo nel processo artistico e denota l’impossibilità di intervenire sul fluire di esso. Di questo ne era convinto anche Marcel Duchamp, il cui ‘Grande vetro’ andò incontro all’inesorabile avvento del fato,  decretando che la rottura non danneggia l’opera né la depaupera ma invero che ”La causalità appartiene alla realtà,esattamente come l’arte”.

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