Il Parlamento australiano mette sotto pressione Google e sta valutando la possibilità di obbligare Big G al pagamento di una quota agli editori per la pubblicazione di notizie e video sulla piattaforma omonima, oppure sugli spazi digitali di YouTube e Facebook. Dal canto suo, Google si mostra contrario e, attraverso un post sul blog ufficiale, afferma che il concretizzarsi di questa ipotesi “potrebbe avere un impatto negativo e significativo sull’ecosistema di creatori in Australia”. La questione è stata così sottoposta all’opinione del web, che ha ancora pochi giorni per esprimersi, partecipando alle consultazioni pubbliche. Pertanto, il messaggio di Google ha come destinatari proprio gli utenti, i fruitori principali dei contenuti, e i loro autori.
Il Parlamento australiano aveva avanzato questa ipotesi già nel mese di aprile 2020. Infatti, proprio quattro mesi fa, Josh Frydenberg, Ministro del Tesoro del governo locale, aveva annunciato di aver incaricato l’Australian Competition and Consumer Commission (ACCC), la commissione di regolamentazione che si occupa della vigilanza sulla concorrenza, di stilare un codice di condotta che obbligasse Google e Facebook al pagamento per la pubblicazione delle notizie sulle loro piattaforme digitali. Trascorso questo periodo di tempo, la questione è tornata d’attualità e, dopo il 31 luglio scorso, data di pubblicazione di una prima bozza del codice, i toni si sono inaspriti.
Il codice di regolamentazione preparato dall’ACCC ha avuto origine nel 2019, da un’indagine portata avanti dall’Australian Competition and Consumer Commission. Quest’ultima si era concentrata sulla funzione svolta dalle piattaforme digitali e dai social network in Australia. A tal proposito, l’inchiesta aveva evidenziato come Google e Facebook raccogliessero una buona parte dei profitti proprio dalla pubblicità online, seppur molti contenuti pubblicati sulle loro piattaforme fossero attinti da siti di notizie. Infatti, mediante il meccanismo del “pay – for – click”, Google, Facebook e altre importanti piattaforme digitali generano guadagni anche con la pubblicità che appare sulle loro pagine, seppur queste ultime riportino contenuti prodotti dai siti di notizie oltre agli argomenti forniti dagli utenti stessi. Pertanto, Google e Facebook ottengono profitto dai siti di news e gli editori affermano come anche i giornali che producono le notizie dovrebbero ottenere parte di questi benefici economici.
Dunque, la bozza del Codice stilata dall’ACCC prevede “che gli editori e le piattaforme digitali partecipino in modo individuale o collettivo a una negoziazione di tre mesi, in cui cercare di accordarsi su adeguati pagamenti”. In mancanza di un adeguato accordo tra le parti interessate, il Codice prevede l’entrata di “un arbitro imparziale che scelga, entro 45 giorni, quale delle due parti ha fatto l’offerta più ragionevole”.
Mel Silva, Managing Director di Google, invece, teme che in questo modo gli editori entrino in contatto con una mole di dati più ampia, ledendo la privacy degli utenti e mettendo a rischio i servizi gratuiti offerti da Big G. Intanto, fino al 28 agosto sia gli editori che le piattaforme digitali potranno implementare i loro pareri per la consultazione pubblica sulla questione. Seppur al momento il codice elaborato dall’ACCC faccia riferimento solo a Google e Facebook, è possibile che, nei prossimi mesi, anche altre piattaforme possano essere toccate dalle indicazioni contenute nel regolamento previsto dall’autorità australiana. Nel frattempo, il Ministro del Tesoro locale, Josh Frydenberg afferma che “c’è in gioco il futuro dei media australiani” e si dice deciso a portare il codice in Parlamento, affinché giunga l’approvazione entro la fine dell’anno.
Ivana Notarangelo
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