l Tribunale di Roma, con la sentenza n. 5423/2024, ha ribadito un principio fondamentale: i motori di ricerca come Google non possono sottrarsi agli obblighi imposti dal diritto all’oblio e non sono autorizzati a comportarsi come giudici autonomi nel decidere quali dati cancellare. Con questa decisione, il giudice ha condannato Google per aver ritardato la rimozione di contenuti lesivi e obsoleti relativi a un cittadino italiano, imponendo alla piattaforma non solo la deindicizzazione degli URL contestati, ma anche il pagamento delle spese legali.
Il caso ha origine nel luglio 2022, quando il ricorrente ha richiesto formalmente a Google la rimozione di due URL dai risultati di ricerca associati al proprio nome. I collegamenti riportavano a notizie di cronaca giudiziaria ormai superate, relative a un procedimento penale conclusosi con la dichiarazione di prescrizione. La permanenza di queste informazioni nei risultati di ricerca stava causando un ingiustificato danno alla reputazione del ricorrente, che invocava il diritto alla cancellazione previsto dall’art. 17 del GDPR.
Google ha rigettato l’istanza, sostenendo di non poter procedere in assenza di una decisione esplicita da parte di un’autorità giudiziaria o amministrativa. Tuttavia, la piattaforma aveva già accolto, in passato, richieste analoghe riguardanti la medesima vicenda, dimostrando che una valutazione preventiva era possibile.
Solo dopo la notifica del ricorso al Tribunale di Roma, Google ha proceduto alla rimozione degli URL contestati, un comportamento tardivo che il giudice ha ritenuto in violazione dei diritti dell’interessato.
La sentenza del Tribunale di Roma riafferma la centralità del diritto all’oblio come strumento di tutela della dignità personale e della riservatezza, garantito dall’art. 17 del GDPR e consolidato nella giurisprudenza europea e italiana. I motori di ricerca non possono agire come arbitri autonomi nella valutazione delle richieste di deindicizzazione, né subordinare il rispetto dei diritti degli utenti alle loro logiche interne o a interessi commerciali
La decisione richiama i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza “Costeja” (C-131/12), che ha sancito il ruolo attivo dei motori di ricerca nel trattamento dei dati personali. Secondo questa giurisprudenza, i titolari del trattamento, come Google, hanno l’obbligo di valutare con diligenza le richieste di cancellazione e di rimuovere tempestivamente i contenuti non più rilevanti, inesatti o lesivi.
Inoltre, la sentenza si collega alle Linee guida del Garante per la protezione dei dati personali, che ribadiscono l’obbligo per le piattaforme digitali di agire prontamente e in modo trasparente, evitando ritardi che possano aggravare il danno all’interessato. Nel caso specifico, il giudice ha evidenziato come Google avesse già riconosciuto il diritto del ricorrente alla deindicizzazione in precedenti richieste, dimostrando che il rifiuto iniziale era privo di giustificazioni concrete.
La condanna alle spese di lite, pur in presenza di una dichiarazione di cessata materia del contendere, sottolinea l’importanza di un comportamento diligente da parte delle piattaforme. Il principio di soccombenza virtuale applicato dal Tribunale ribadisce che l’inerzia o i ritardi nel soddisfare richieste legittime possono configurare una violazione dei diritti fondamentali.
Casi come questo evidenziano l’urgenza di garantire un’effettiva protezione dei dati personali nell’era digitale. Cancellare notizie da Google o rimuovere informazioni personali da internet non è solo un diritto riconosciuto dal GDPR, ma rappresenta uno strumento essenziale per preservare la reputazione e la dignità degli individui.
La sentenza del Tribunale di Roma si aggiunge a una crescente giurisprudenza italiana che richiama le grandi piattaforme tecnologiche al rispetto delle normative europee. I motori di ricerca non possono sottrarsi a questi obblighi, né subordinare il diritto alla cancellazione a procedure interne arbitrarie o a decisioni unilaterali.
Per chiunque voglia esercitare il proprio diritto all’oblio, il consiglio è di seguire le indicazioni del Garante Privacy e di fare riferimento alle sentenze di tribunali italiani, che stanno delineando un quadro giuridico sempre più chiaro e favorevole agli utenti.
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