Dal 28 settembre al 12 gennaio 2020 Palazzo Strozzi a Firenze celebra Natalia Goncharova, indimenticata figura femminile, protagonista dell’Avanguardia russa. Nelle opere dell’artista, ispirata inizialmente dai principi del Futurismo per poi approdare definitivamente a quelli del Raggismo, ritroviamo riferimenti a Paul Gauguin, Henri Matisse, Pablo Picasso, Umberto Boccioni. Fin qui niente che oltrepassi la linea dell’ordinario, se non fosse che in occasione del lancio della campagna social per promuovere la mostra, Instagram ne ha censurato il video promozionale, giustificando tale scelta in merito al fatto che presenterebbe “immagini raffiguranti nudità e porzione di pelle eccessive”.
Oggi, così come nel 1910, dunque, la Goncharova è stata censurata. Un tempo fu la prima donna a esporre dipinti raffiguranti nudi femminili, in linea con la sua indole anticonformista; venne accusata, processata per offesa alla pubblica morale e pornografia, e infine assolta. Dopo oltre un secolo e dopo tutti i traguardi sociali di cui spesso ci si vanta, accade che un algoritmo determini un principio di censura all’interno di un software, che diffonde ogni giorno immagini e notizie, che vanno ben oltre la “Modella su sfondo blu, l’opera inquisita della Goncharova.
La censura artistica sui social è molto più frequente di quanto si possa credere, e Natalia Goncharova è l’unica artista interessata. Stesso caso, stessa motivazione, hanno riguardato, lo scorso anno, la mostra “The Cleaner”, dedicata a Marina Abramović, artista serba autodefinitasi “nonna della performance art”. E proprio una delle sue più celebri performance, “Imponderabilia”, è stata protagonista di un’accesa censura mediatica, poiché composta dai corpi nudi di un uomo e di una donna, all’ingresso della galleria, per cui il pubblico era costretto ad entrare passando proprio tra i due corpi. In quel caso venne citato al tempo l’articolo della Costituzione che stabilisce che “l’arte e la scienza sono libere”, articolo che venne ignorato e non rispettato dai giganti globali Instagram e Facebook.
Nel 2019, dunque, c’è chi abbassa la testa di fronte al proibizionismo neanche di una persona in carne ed ossa, bensì di un social network. Il fatto di impedire la pubblicazione di determinate immagini considerate “oscene“, non farà in modo che la gente non possa ammirare quel dipinto. Dunque non è una questione qualitativa quanto quantitativa, visto che non c’è nulla di indecoroso in una donna, i cui angoli e spigoli vengono scomposti e ricomposti senza seguire la convenzionale unicità del punto di vista. A oggi, però, nessun provvedimento è stato preso per evitare che un algoritmo possa decidere cosa gli utenti possono o non possono guardare. Dostoevskij, riferendosi all’arte, disse: “La bellezza salverà il mondo”. Anni dopo Salvatore Settis (archeologo e storico dell’arte italiano) risponderà a Dostoevskij:” La bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salviamo la bellezza”.
Gioia Perna