Lo smaltimento di vecchi smartphone, tablet, pc e dei diversi device digitali è una questione sempre più attuale e stringente. Infatti, stando alle statistiche diffuse dalle Nazioni Unite, ogni anno, già solo in Europa, si accumulano circa 15 chili a persona di “rifiuti elettronici”. Nel mondo, invece, si superano i 50 milioni di tonnellate. Inoltre, si stima come all’incirca 6,1 miliardi di persone, il 70% della popolazione globale, disponga di uno smartphone, con gli Stati Uniti a detenere un record particolare. Proprio negli Usa, in media, un utente acquista ogni 26 mesi un nuovo modello di smartphone. Le previsioni degli esperti assicurano che i numeri cresceranno, poiché sta aumentando sempre più il consumo collettivo di oggetti elettronici e dotati di intelligenza artificiale. E all’esplosione di questo trend, si accompagna il fenomeno della cosiddetta “obsolescenza programmata”, che identifica il decremento delle performance, causato dal veloce sviluppo tecnologico, la cui conseguenza è il continuo e ripetuto acquisto e cambiamento dei dispositivi.
Al fine di limitare l’impatto ambientale e diminuire la quantità di “rifiuti elettronici”, diventa importante capire quale strada intraprendere per smaltire o, comunque, riciclare le tecnologie ormai dismesse. Oltre ai dispositivi, la questione del “riciclo tecnologico” tocca anche le batterie al litio che li alimentano. In Italia la Spirit Srl, azienda in provincia di Vicenza, ha studiato un modo attraverso il quale smaltirle in modo utile ed ecosostenibile. Le batterie usate per questo procedimento sono quelle agli ioni di litio e NiMh (nichel-metallo idruro). La procedura messa in atto dall’azienda vicentina parte dalle batterie totalmente scariche; esse vengono scelte, aperte e suddivise nei diversi comparti. Durante il procedimento di apertura e sezionamento, le polveri catodiche composte vengono divise dal cobalto, dal nichel e dagli altri ossidi di metalli presenti. A partire proprio da queste sostanze inorganiche, si procede con la produzione degli smalti, utili poi per la colorazione delle piastrelle o per essere usati nel comparto manifatturiero. In particolare, l’idea è nata dall’impegno dell’ingegnere Angelo Forestan, leader di Spirit Srl. L’azienda vicentina, poi, ha potuto contare sulla collaborazione di Foréma, l’ente di formazione di Assindustria Venetocentro, che ha concesso un lavoro di consulenza, finalizzato al conseguimento delle giuste autorizzazioni, tra le quali quelle dell’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (ECHA), perché i prodotti ricavati possano essere commercializzati, rispettando il corpus legislativo attualmente in vigore.
Michele Checchin, membro di Forèma, evidenziando come la mission dell’ente veneto sia quello di sostenere le startup e le imprese al momento del lancio, ha evidenziato come “quella con Spirit è stata una collaborazione proficua, anche dal punto di vista etico“, poiché “questo processo limita lo spreco di materie prime e di territorio, in ottica di economia circolare”. E Forestan, a capo della Spirit Srl, ha sottolineato come la soluzione studiata dalla sua azienda persegua un duplice scopo. Infatti, se da un lato “riutilizziamo batterie che altrimenti finirebbero in discarica”, dall’altro “produciamo polveri di metalli e metalli riducendo l’estrazione da miniere presenti, in particolare nei paesi africani come la Repubblica Democratica del Congo”.
Il lancio dell’iniziativa da parte dell’azienda vicentina affianca l’attività di recupero già portata avanti dai negozi dove, secondo quanto stabilito dalla legge, i device esausti vengono ritirati e trattenuti nel punto vendita, secondo una doppia logica: quella dell’ ”uno-contro-uno” quando, in cambio del nuovo dispositivo, si lascia il vecchio, accanto a quella dell’”l’uno contro zero“. In questo secondo caso, invece, si lascia in un negozio un oggetto elettronico dismesso, ma senza comprare nient’altro. Infatti, come accade con le batterie al litio, anche i diversi pezzi che compongono tutti i dispositivi digitali del momento, possono essere usati nuovamente per costruire nuovi device. Questo procedimento consente di dare l’avvio all’ “economia circolare”, un sistema economico pensato per potersi ricreare in modo autonomo, salvaguardando anche l’ecosostenibilità. Inoltre, per rendere concreta questa possibilità, stando alla normativa europea vigente, un qualsiasi device deve essere recuperabile almeno per un buon 80%. Si tratta di un principio inderogabile, che tutti i produttori di device digitali ed elettronici devono rispettare.
Ivana Notarangelo