Non esiste ancora un testo scritto, ma i numeri e le ipotesi si susseguono: uno degli argomenti “caldi” della manovra di fine anno è la riforma delle pensioni, cavallo di battaglia degli esponenti dell’attuale Governo nel corso dell’ultima campagna elettorale. La “promessa” di “cancellare” le disposizioni e le scadenze previste dalla riforma Fornero, dovrebbero, dunque, diventare fatti, anche se non c’è ancora nulla di scritto. Per ora l’unica certezza sembra essere la cosiddetta “Quota 100”: in pratica dal prossimo anno si potrà andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica e degli anni di servizio avrà superato una determinata soglia (che in questo caso sarebbe fissata a 100).
Dal 2019, dunque, si legge in alcune anticipazioni del settimanale Panorama, “si potrà andare in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi (62+38=100). Qualunque sia l’anzianità anagrafica, però, verrà fissata una soglia minima di contribuzione di 38 anni al di sotto della quale l’accesso al pensionamento è precluso. Ci sarà anche una soglia minima per l’età, stabilita a 62 anni. Di conseguenza, ci sono non pochi lavoratori ultrasessantenni che non potranno mettersi a riposo nel 2019 anche se, in teoria, rispettano i requisiti della quota 100”.
Una riforma che sta lasciando dubbi e interrogativi. “L’equità intergenerazionale è uno dei pilasti fondamentali su cui si regge l’equilibrio del sistema pensionistico. Fino agli anni Settanta il debito pensionistico era limitato, quando poi sono stati introdotti provvedimenti che hanno di fatto sballato il sistema, con gravi ripercussioni sul debito pubblico. Le riforme, infatti, sono state fatte molto spesso per capitalizzare un consenso politico immediato, ma a lungo andare hanno avuto e hanno ancora costi molto alti”, ha spiegato il presidente dell’Inps, Tito Boeri. “La riforma Fornero ha introdotto misure volte a limitare il debito pensionistico, posticipando l’uscita dal mondo del lavoro: nel breve periodo, a 3 anni dall’introduzione, questo ha avuto un effetto, seppur limitato, nell’assunzione di giovani (1 giovane in meno assunto per ogni 3 pensionati “bloccati”), ma le previsioni di lungo periodo dimostrano che non c’è spiazzamento fra l’occupazione degli adulti e il lavoro dei giovani”. Un altro problema, secondo Boeri, è stato il divario tra la realtà del sistema pensionistico e la percezione che di questo ha l’opinione pubblica: “le persone sono convinte di capire appieno il funzionamento del sistema previdenziale, ma spesso non hanno gli strumenti per farlo. E’ fondamentale, in questo senso, non solo l’informazione ma anche e soprattutto una formazione approfondita. Da parte degli ‘addetti ai lavori’ è necessario rendere la materia più facilmente comprensibile a tutti, trovando magari metafore maggiormente corrispondenti alla realtà e usando un paternalismo che informa”.