In Italia esisteva già, ma la vera diffusione è arrivata con l’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del COVID – 19 e l’improvviso lockdown. Dallo scorso 8 marzo, una serie di circostanze hanno imposto una fortissima accelerazione al ricorso dello “Smart Working”. Quest’ultimo aveva già fatto il suo ingresso nella giurisprudenza nazionale da quasi 3 anni, dall’entrata in vigore della legge 81 de 22 maggio 2017. Definita anche la “Legge del Lavoro Agile”, il testo ha regolato l’attività professionale da remoto, disciplinando lo smart working in tutti i suoi aspetti giuridici.
Dal diffondersi dell’epidemia Coronavirus in Italia, lo smart working ha investito tutti i settori professionali dove ciò è stato possibile, incluso il comparto della Pubblica Amministrazione. E questo nuovo trend è stato confermato anche da una ricerca portata avanti dall’Osservatorio 4.Manager, che ha analizzato gli interessi degli utenti Google, secondo quanto registrato da Google Trends. Lo studio ha coperto un arco temporale di 90 giorni, quelli intercorsi tra il 9 dicembre 2019 e il 9 marzo 2020, focalizzando l’attenzione sulle parole chiave della ricerca quali: smart working, lavoro agile, lavoro da casa e telelavoro. I risultati ottenuti hanno evidenziato come nell’ultimo mese ci sia stato un picco delle query su questo particolare tema, a fronte di un andamento sostanzialmente piatto nei 70 giorni precedenti.
Da un punto di vista organizzativo si è registrato come molte aziende, società ed imprese abbiano messo in pratica le modalità di Lavoro Agile per i propri dipendenti, al fine di limitare i rischi connessi all’epidemia da COVID – 19 e allo stesso tempo non interrompere completamente le attività lavorative. Da un punto di vista normativo si è ricorso, invece, al decreto attuativo 6 del 23 febbraio 2020, che ha agevolato l’adozione dello smart working, quale soluzione praticabile nell’immediato, senza la necessità di ricorrere all’accordo preventivo con il lavoratore. Una diffusione dello smart working, anche quando l’emergenza sarà rientrata, potrebbe restituire importanti vantaggi per i diversi protagonisti del settore e aprire a una serie di prospettive. Stando ad una ricerca portata avanti dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, infatti, il 76% dei lavoratori “smart” si ritiene soddisfatto del proprio lavoro, a fronte del 55% di coloro che lavorano in modalità tradizionale. Ci sono, poi, da considerare: il decremento dei costi fissi, soprattutto quelli legati alle spese degli uffici e agli spazi di lavoro in generale; il calo del traffico, con benefici di natura organizzativa e conseguente flessione dell’inquinamento atmosferico.
L’Italia appare paese esordiente nel campo dello smart working, ma in Europa ci sono nazioni “pioniere” del lavoro agile. E’ il caso dell’Inghilterra, dove nel 2014 il governo ha approvato la legge Flexible Working Regulation, che dà alle persone il diritto di richiedere forme di lavoro flessibile, oltre alla forma smart, e l’azienda può accettare la richiesta o rifiutarla, specificando le adeguate motivazioni. Nel 2016, l’Olanda ha seguito il modello inglese, anche se ad oggi è la Svizzera la realtà più avanzata in tema di lavoro agile, con i dati che parlano di almeno il 25% di lavoratori smart presenti sul territorio. L’emergenza Coronavirus ha spinto anche l’Italia a questa evoluzione nelle modalità di svolgimento di molte attività professionali. Dal prossimo 4 maggio si prevede un allentamento delle misure restrittive messe in atto fino a questo momento, se i dati legati ai contagi del virus continueranno a decrescere. Dunque, l’entrata nella fase 2 è molto vicina, ma si prevede che molti lavoratori continueranno a lavorare in modalità “smart”. Ipotesi da non escludere anche per l’immediato futuro, quando l’emergenza sanitaria sarà passata.
Ivana Notarangelo